Spalletti e il paradosso del tatuaggio: l’uomo che ha inciso il Napoli sulla pelle e ora veste il bianconero

C’è un’immagine che da sola racconta la potenza simbolica del calcio italiano contemporaneo: Luciano Spalletti, con il tatuaggio dello scudetto del Napoli inciso sul braccio, che stringe la mano alla dirigenza della Juventus. È una scena che sembra uscita da un romanzo sul destino e le sue ironie, dove l’inchiostro diventa una promessa eterna… ma la carriera, come la vita, è fatta di deviazioni improvvise.

Il tatuaggio di Spalletti – quello scudetto con il numero tre, quel “Napoli” che campeggia sulla pelle – non era un vezzo estetico. Era un voto, un sigillo d’amore. Dopo anni di rincorse e incomprensioni, il tecnico di Certaldo aveva condotto il Napoli a una delle sue stagioni più luminose, restituendo alla città la gioia di sentirsi capitale del calcio. Quell’inchiostro, allora, fu la consacrazione di un legame tra uomo e popolo.
Eppure, come accade nei migliori romanzi sportivi, anche i giuramenti scritti sull’epidermide possono entrare in conflitto con il tempo.

Oggi Spalletti approda alla Juventus. È come se un artista avesse inciso sulla tela il Vesuvio e, l’anno dopo, decidesse di firmare l’affresco del Palazzo Reale di Torino. Il gesto spiazza, divide, accende le discussioni da bar e i dibattiti televisivi. Ma è anche, in un certo senso, profondamente “spallettiano”: coerente nella sua apparente incoerenza. Perché Spalletti non è mai stato un uomo di appartenenze statiche, bensì un artigiano del gioco, un viaggiatore che costruisce bellezza ovunque vada, anche a costo di bruciare i ponti dietro di sé.

Il suo tatuaggio, allora, non è più un vincolo, ma una cicatrice poetica. Rappresenta ciò che è stato e che resterà per sempre: la testimonianza di un amore consumato fino all’ultima stilla di passione. Nessun arrivo a Torino potrà cancellarlo. Anzi, quella macchia azzurra sul braccio bianconero sarà la prova vivente che il calcio non è religione, ma sentimento: mutevole, tormentato, umano.

Il passaggio di Spalletti alla Juventus, dopo la Nazionale, è anche un segno dei tempi. Il calcio italiano è diventato un mosaico in cui le identità si sovrappongono, si mischiano, si contaminano. Gli eroi di una piazza diventano gli antagonisti di un’altra, in un eterno teatro dove la coerenza si misura non con le bandiere, ma con la capacità di reinventarsi. E Spalletti, nel suo continuo reinventarsi, resta uno degli ultimi romantici travestiti da moderni.

Quel tatuaggio rimarrà, come rimane il segno di un’estate indimenticabile sotto il cielo di Napoli.
Ma adesso, l’uomo che lo porta addosso scrive un nuovo capitolo, forse il più controverso e affascinante: quello in cui il cuore resta azzurro, ma la panchina… bianconera.

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